mercoledì 23 novembre 2011

Questo non è un saggio

A che serve la letteratura. Fra le tante cose, serve a sfogare sulla carta i nostri eccessi, a svuotarci prima di raggiungere un punto di rottura. Ci ristora come un buon pianto da uno stato di agitazione febbrile. Sono convinto che Goethe abbia fatto tirare una pallottola alla tempia a Werther per non doverlo fare lui stesso. Come avviene? Per poter essere trascritte, le nostre emozioni-pensieri devono passare per un processo di razionalizzazione, che ha l'effetto di rallentarle. Questo ci dà il tempo di prender fiato, crea delle distanze fra queste e il resto di noi. E' un processo ambiguo: per certi versi ce le estranea, per altri versi ne garantisce una più lunga durata. Comunque, cominciamo ad esercitare su di esse un certo dominio. Ma vi è un rischio. L'analisi che cominciamo a intraprendere non è sempre imparziale e potremmo cadere nella tentazione, con l'arte romantica, di idealizzare quella parte di noi stessi, di darne una connotazione estetica abbastanza forte da impedirci di difenderci adeguatamente da sentimenti negativi, autodistruttivi, come l'accidia. Non a caso, la bellezza del personaggio "negativo" Werther ha scatenato il noto "effetto Werther", un'ondata di suicidi per tutta Europa. Bisogna evitare di essere troppo compiacenti con noi stessi, dobbiamo invece inebriarci di uno spirito critico dotato di una logica inesorabile, anche se ciò può sembrare avvilente.

Nessun commento:

Posta un commento