martedì 2 marzo 2010

"parola mia, in 30 anni che faccio l'infermiera non mi è mai capitato che qualcuno non sapesse come si usa il pappagallo!"

La stanza d'ospedale dove dovevo trascorrere le ore post-operatore del day-hospital la condividevo con un altro paziente, a cui poi se ne aggiunse un altro. Il primo di questi, che non ricordo se fu operato prima o dopo di me, si lamentava vistosamente. Sbuffava, imprecava, con un accento vagamente calabrese e mangiandosi le parole si lagnava come un bambino. Ed aveva tutti i comportamenti del bambino, in effetti. Arrivò addirittura ad invocare la madre morta. Desiderava a tutti i costi commiserazione e attenzioni. Cercai di capire qual'era il suo problema, lo vidi chiamare più volte le infermiere, e alla fini scelsi di comportarmi nel modo più umano possibile. Mettermi gli auricolari del lettore mp3, alzare il volume, e smaltire il torpore dell'anestesia, fregandomene soavemente delle lagnanze del compagno di stanza.
Mi risvegliai dopo un'ora abbondante, ma il tizio non smetteva di lamentarsi. Anzi, notandomi sveglio, sembrava sforzarsi di fare più scena possibile, emettendo versi sofferenti che invece di rendermi compassionevole mi irritavano. Effettivamente la mia reazione era tutt'altro che ingiustificata. Le lagnanze del soggetto erano veramente ridicole. Lamentava, ad esempio, di non essere assistito a sufficienza dalle infermiere, responsabili, ad esempio, di non averlo aiutato con il pappagallo (??)facendolo "bagnare tutto". Si lamentava anche del day hospital: a suo dire, in Calabria gli avrebbero permesso di stare almeno due settimane in ospedale invece di mandarlo a casa. Di cosa si era operato? di una piccola ernia. Il suo problema era "di non avere nessuno, come faccio?". In Calabria l'avrebbero assistito e riverito. Sua abitudine, quando si rivolgeva a qualcuno (ed anche quando questo qualcuno non vi era, dato che nella stanza per un po' di tempo c'ero solo io ed avevo le cuffiette nelle orecchie e gli occhi chiusi)era concludere le frasi con l'interrogativa "haih capvit' coUme?". Esempio: si lamentava di essere a digiuno (normale, data l'anestesia almeno locale quando si opera). "sto morendo di fame, uff, sai che mi farei? pane e soppressata, hai capvit coUme?". Era incredibile come riuscisse a dirlo alla fine di ogni frase. Mi ero davvero abituato a trovarlo naturale. Quando venne l'altro paziente, un signore ormai anziano operato ad una gamba, il migrante calabrese trovò qualcuno in grado di gestirlo. Il signore, dotato di una parlata scanzonata irresistibile, era magistrale: un genio delle relazioni con il pubblico (non a caso era un commerciante). Riusciva a prenderlo in giro e rassicurarlo contemporaneamente. A rimproverarlo e a divertirlo allo stesso tempo. Ci sarebbe stato molto da imparare. Due diversi comportamenti: alle lamentele del tipo io rispondevo fingendo di leggere o di dormire aumentando il volume della musica, lui rispondeva canzondandolo e ridacchiando, per poi assumere il tono di uno interessato ai suoi problemi dandogli consigli generici, che chiudevano la questione. Ma entrambi siamo probabilmente usciti da quella stanza, quel giorno, preoccupati dalla esistenza di una vita anacronistica. Quel tizio, ad ascoltarlo e vederlo, sembrava davvero fuorI dal mondo e da ogni logica. Un bambino semianalfabeta di più di 30 anni. Come faceva a sopravvivere?

Nessun commento:

Posta un commento